A Jesolo dal 2002 è possibile ammirare il presepe di sabbia più grande e suggestivo d’Italia, un’opera di abilità e arte realizzata dalle mani e dalla creatività di grandi artisti internazionali. Da allora, edizione dopo edizione, Sand Nativity è cresciuto affermandosi come uno dei presepi più conosciuti a livello nazionale e internazionale, tanto da essere esposto in piazza San Pietro nel Natale del 2018 e ad Assisi nel 2023.
L’edizione 2024 dello Jesolo Sand Nativity ha come titolo “Fratelli tutti” ed ispira le proprie opere all’enciclica di Papa Francesco dedicata al dialogo interreligioso e a tutte le persone di buona volontà.
Pur essendo un evento cristiano, la Natività è aperta a tutti: si tratta, infatti, del momento in cui il Divino si fa storia e afferma la dignità di ogni uomo. “Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”, scrive Papa Francesco nel suo documento. Il filo conduttore dell’enciclica è la parabola del buon samaritano. “Questa parabola è un’icona illuminante – continua il Santo Padre -. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce dalla parte dei briganti, oppure di quella di coloro che passano accanto senza avere compassione”.
Lo Jesolo Sand Nativity intende diffondere ulteriormente il messaggio di pace e dialogo attraverso una mostra esclusiva e di grande impatto emotivo.
Christofer De Zotti, sindaco di Jesolo: “Troppo spesso e per molteplici ragioni, gruppi di persone entrano in conflitto tra loro a causa delle differenze che li contraddistinguono. A volte addirittura con l’intento annunciato di prevalere sugli altri, come se la propria storia non fosse solo che una parte di quella dell’intera umanità e che solo in questo contesto più allargato assumesse pieno senso e significato: senza differenze non vi sarebbero cultura e tradizioni di cui andare fieri, in altre parole non esisteremmo.
Lo Jesolo Sand Nativity è ormai divenuto qualcosa di più che una semplice esposizione di meravigliose sculture di sabbia. È una vera e propria mostra d’arte che quindi contiene un messaggio da veicolare, un invito alla riflessione per distogliere temporaneamente l’attenzione dalle questioni del quotidiano e sollevare lo sguardo verso quelle che governano il tempo in cui viviamo.
Quest’anno Jesolo accoglie e rinvia al pubblico il messaggio di Papa Francesco verso il dialogo interreligioso quale premessa, percorso e testimonianza per arrivare ad essere popoli che vivono da “fratelli tutti”. Un invito rivolto alle “persone di buona volontà”, per sforzarsi a guardare più spesso il mondo con gli occhi del Buon Samaritano, con maggiore compassione e senza passare oltre”.
Il racconto della parabola dal Vangelo di Luca (10,25-37): Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e, lungo il cammino, fu assalito dai briganti, che lo spogliarono, lo percossero e lo lasciarono mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva lungo quella strada e, vedendolo, passò dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide l’uomo ferito e, passando, lo evitò. Ma un Samaritano, che viaggiava per quella stessa strada, lo vide e, preso da compassione, si avvicinò, gli versò dell’olio e del vino sulle ferite, lo mise sul suo stesso cavallo e lo portò in una locanda dove si prese cura di lui. Il giorno dopo, il Samaritano prese due denari, li diede al locandiere e gli disse: “Abbi cura di lui, e se spendi di più, al mio ritorno ti rimborserò.”
Si tratta di un racconto antico, universalmente conosciuto ma, allo stesso tempo attuale. La parabola mette in risalto il comportamento del Buon Samaritano, il quale, benché appartenente ad un popolo considerato reietto è capace di superare barriere culturali, sociali, religiose e pregiudizi, non esita a prendersi cura di quell’uomo sconosciuto, ferito e abbandonato ai margini della strada. “Farsi prossimo” di chi ha bisogno, a prescindere da chi egli sia, quale sia il colore della sua pelle o la religione da lui professata: questo è l’insegnamento della parabola.
L’artista rappresenta plasticamente l’episodio così come descritto nei Vangeli; in primo piano il Samaritano soccorre l’uomo in difficoltà, sotto lo sguardo indifferente delle figure sullo sfondo che invece sono passate oltre, incuranti dello sconosciuto che aveva bisogno.
Una donna, accasciata, ripiegata su sé stessa che si copre il volto, per vivere nella solitudine dell’abbandono il proprio dolore. La sofferenza traspare in modo prepotente da quella figura, realizzata in una scala sovradimensionata rispetto alla realtà per dare un vigore plastico ad un messaggio di denuncia. La scultura ci investe, in modo quasi prepotente e con grande forza, sottolineando, così, tutta la sua drammaticità. La scultura, assumendo anche il carattere di una denuncia verso una situazione di preoccupante attualità, vuol suscitare un sentimento di empatia, se non addirittura di un senso di colpa, per una indifferenza verso vittime di stereotipi che ancora perdurano.
L’opera perciò vuole stimolare uno spirito di empatia, solidarietà e generosità.
La scultura denuncia l’indifferenza. L’artista, inglese, ha evidenziato questo atteggiamento ambientandolo ai tempi moderni e ponendo al centro dell’opera la figura di un “barbone”, come il gergo comune lo classifica: un senzatetto, senza lavoro, senza famiglia, fragile. È seduto ai margini di una strada trafficata, ma totalmente ignorato dai passanti. Le dimensioni dell’uomo rispetto a quella della gente in primo piano, in questo gioco di prospettiva ribaltata (i soggetti a noi più vicini ci appaiono più piccoli rispetto a quelli in secondo piano), lo trasforma nel vero protagonista della scena, sottraendolo all’emarginazione a cui lo condanna l’indifferenza della società.
Due individui, a priori contrapposti dalla società e dalle sue costruzioni ideologiche, si ritrovano legati da un gesto essenziale: uno aiuta l’altro, superando così gli antagonismi che, in un altro contesto, li avrebbero separati. Il cuore della scultura è il Cristallo Rosso, uno spazio liscio e aperto, in contrasto con la ruvidità della roccia circostante. Questo cristallo, simbolo di neutralità e mutuo soccorso, rappresenta sia una base che un rifugio. Al centro, un vuoto, uno spazio cavo da cui emerge questo incontro inaspettato tra i due protagonisti. I dettagli della scultura si concentrano principalmente sulle braccia e sulle mani, per marcare il gesto di sostegno. Quest’opera che vuole essere senza tempo e universale, ci invita a riflettere sulla nostra capacità incondizionata di raggiungere gli altri ed è un omaggio all’aiuto reciproco nonostante le avversità.
Il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa costituisce la più grande organizzazione umanitaria del mondo.
Il simbolo del Cristallo Rosso su campo bianco è entrato in vigore grazie al Terzo Protocollo nel 2005 ed è stato proposto con l’obiettivo di liberare da ogni connotazione nazionale, politica o religiosa quel movimento che dovrebbe offrire protezione alle persone che portano aiuto nelle aree di conflitto e che non vogliono utilizzare i simboli esistenti come la Croce e la Mezzaluna con l’intento di rimanere completamente neutrali.
Cosa meglio di un orologio scandisce il tempo? È questo oggetto che misura rigorosamente il nostro tempo ad occupare la maggior parte della scultura. È proprio qui che dobbiamo porre la nostra attenzione: al tempo che scandisce le nostre giornate. Siamo disposti a dedicare il tempo agli altri, soprattutto a chi ne ha più bisogno? Questa scultura è un’esortazione a interrompere i ritmi della nostra vita, sempre frenetici e scanditi da mille impegni quotidiani. Spaccare questo ingranaggio per interrompere questa frenesia, prenderci del tempo per permetterci di recuperare una dimensione più umana, capace di uno sguardo di compassione verso altri uomini e donne più fragili: questo il messaggio della scultura.
L’artista commenta così la sua opera: “Il tempo è prezioso, e una volta perso, non torna più indietro. Quando aiuti gli altri, stai condividendo il tuo tempo personale. Il talento è dato a tutti non solo per uso personale, ma per arricchire la vita degli altri. Il tuo dono speciale è l’unico che puoi dare a beneficio degli altri.”
Ogni incontro con qualcuno che attende un gesto di solidarietà ci offre la possibilità di cambiare la nostra prospettiva ponendoci una scelta: restare passivi o muoverci verso di lui. Se nell’intrecciarsi delle nostre vite ci decidiamo a portare i fardelli gli uni degli altri compiamo un gesto carico di forza e di significato: nelle strade del mondo non siamo soli se ognuno di noi si spoglia del suo egoismo e tende una mano a chi ha il passo più affaticato.
Chi interviene in aiuto agli altri cambia la prospettiva di guardare alla vita trovandovi un nuovo senso più profondo e solidale.
Scelta fondamentale è non agire da soli, come singoli individui, ma come gruppo, come famiglia, come società perché “il tutto è più grande della parte, ma è anche più grande della somma delle sue parti”.
La scena raffigurata dall’artista, con l’inconfondibile stile “non finito” che caratterizza le sue opere, rappresenta un gruppo di figure nell’atto di accompagnare un anziano in difficoltà ad attraversare la strada.
Il mondo al centro, attorniato e abbracciato da figure diverse per provenienze, etnie e fede religiosa sapientemente rappresentati nelle diverse caratterizzazioni dei tratti somatici e delle iconografie tradizionali di ogni cultura.
Questo è il significato intrinseco di questa scultura: mettere da parte le differenze culturali e di pensiero ed essere disposti ad aiutare il prossimo, supportandoci a vicenda, superando le diversità che ci contraddistinguono. Il moto circolare, che caratterizza l’intera opera, fa riflettere su come, lavorando gli uni affianco agli altri, si possa agire donando il nostro aiuto e, allo stesso tempo, ricevendo aiuto da chi ci è accanto, senza gerarchie ma mossi solo dal senso della fratellanza.
Quest’opera ci invita ad avvicinarci agli altri e a creare delle reti di aiuto reciproco e incondizionato.
Lo scultore presenta il ritratto di due grandi personaggi, simbolo più alto di due religioni diverse, che, al fondo, hanno in comune una visione di pace e fratellanza. Papa Francesco ricorda quell’incontro con queste parole: «Nel mio incontro fraterno, che ricordo volentieri, con il Grande Imam Ahmed El-Tayeb, abbiamo risolutamente [dichiarato] che le religioni non devono mai incitare alla guerra, ad atteggiamenti di odio, ostilità ed estremismo, né devono incitare alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste tragiche realtà sono la conseguenza di una deviazione dagli insegnamenti religiosi. Esse derivano da una manipolazione politica delle religioni e da interpretazioni fatte da gruppi religiosi che, nel corso della storia, hanno approfittato del potere
del sentimento religioso nei cuori degli uomini e delle donne. Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per terrorizzare le persone».
Sullo sfondo, l’artista ha finemente riprodotto il Giudizio Universale della Cappella Sistina.
In quest’opera l’attenzione è focalizzata in particolare sul concetto di famiglia, partendo da quella che nella cultura cristiana è la famiglia per eccellenza: Maria, Giuseppe e Gesù.
La Sacra famiglia, rappresentata durante il viaggio verso Betlemme, nei giorni precedenti alla nascita di Cristo, diventa simbolo di tutte quelle famiglie che incontrano momenti di difficoltà e incertezza lungo la loro strada. Questa scena vuole ricordarci la vulnerabilità delle famiglie, specialmente quando si trovano in Paesi stranieri, in cerca di rifugio. Le figure, rappresentate a grandezza naturale, attraggono la nostra attenzione proprio per evocare in noi empatia e permetterci di riflettere sul nostro comportamento nei loro confronti.
Coerente con il filo conduttore della mostra, la scultura offre all’attenzione alcuni testimoni del concetto di fraternità universale, politica, sociale ma anche ambientale, proponendo figure universalmente conosciute che hanno diffuso questo messaggio pur appartenendo a religioni diverse.
Ecco i protagonisti, ritratti con molta precisione e accuratezza dall’artista:
Mahatma Gandhi, uno dei più grandi leader politici e spirituali del XX secolo, simbolo universale di lotta per la giustizia, la libertà e i diritti umani.
Martin Luther King leader nel movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, noto per la sua lotta contro la discriminazione razziale e l’ingiustizia sociale.
Jane Goodall, una delle scienziate e attiviste più rispettate e influenti al mondo il cui impegno per la conservazione ambientale e la protezione degli animali ha avuto un impatto duraturo sulla società. Oggi continua a ispirare e a guidare iniziative per un mondo più sostenibile e compassionevole.
La scena della Natività è una delle immagini più evocative e significative della tradizione cristiana e simbolicamente rappresenta i concetti di speranza, umiltà, umanità e amore.
La scultura, di enormi dimensioni, misura 10 metri di larghezza e 5 metri di altezza ed è stata realizzata a partire dal bozzetto di Ilya Filimontsev, poi realizzato insieme alle scultrici Susanne Ruseler e Michela Ciappini.
La scena centrale evoca una sensazione di pace e serenità, l’atmosfera è colma di una profonda spiritualità e di una sensazione di speranza.
A sinistra troviamo il gruppo dei Magi, rappresentati come uomini saggi, provenienti da terre lontane che portano i loro doni simbolici al Bambino appena nato.
Nel lato opposto la tradizionale presenza dei pastori, che, tuttavia, in questo caso sono rappresentati da figure femminili, proprio per porre l’attenzione sulla figura della donna, finora quasi totalmente esclusa dalle tradizionali rappresentazioni della Natività. Entrambe le figure sono caratterizzate da tratti somatici mediorientali per ricordarci tutte quelle persone che sono costrette a vivere le terribili conseguenze della guerra. La giovane ragazza si porta un fiore al cuore in segno di gratitudine, mentre la bambina esprime la meraviglia e ci ispira all’altruismo.
Questa scultura è dedicata ad un giovane jesolano che ha sacrificato la sua vita per aiutare una donna mentre veniva rapinata.
Lo scultore trasfigura la tragedia in modo simbolico e molto astratto concentrandosi sull’atto eroicamente coraggioso di Giacomo (il nome di questo Buon Samaritano del XXI secolo) piuttosto che sulla brutalità dell’atto. Giacomo non si è girato dall’altra parte, non è passato oltre, non si è accomodato nell’indifferenza, ma ha scelto un gesto d’amore senza alcun calcolo. Lo ha pagato con la vita. Una scelta, quella di Giacomo, che fa riflettere sulla cultura dell’individualismo e dell’egoismo che sembra pervadere la nostra società.
La scultura cerca di focalizzare il momento dell’offerta del “sé interiore” ponendo le mani in un gesto simbolico. Immaginando l’essenza di una persona come un cristallo, questo si espande nello spazio per esprimere il suo movimento da parte di chi lo offre, viene diviso e persino rotto per esprimere il momento di pressione e violenza.
Aiutandoci con l’immaginazione, possiamo vedere il cristallo come la forma di un fiore di loto, simbolo nelle filosofie orientali, di purezza, forza e rinascita.